L’Intrauterine Bigatti Shaver – conosciuto anche con la sigla IBS – è il nuovo strumento chirurgico che consente di superare le problematiche connesse all’isteroscopia chirurgica convenzionale nella cura di patologie uterine quali: polipectomie, miomiectomie o l’ablazione dell’endometrio. Ne parliamo con il dottor Giuseppe Bigatti, ginecologo presso l’Ospedale San Giuseppe di Milano, ideatore di questa tecnica innovativa.
Tra le patologie che più comunemente colpiscono l’apparato genitale femminile possono essere annoverati i miomi sottomucosi e i polipi endometriali.
I primi sono tumori benigni che originano dalle fibrocellule muscolari del miometrio (da cui il nome “mioma”) e possono presentarsi tanto in forma multipla, quanto svilupparsi singolarmente.
In genere, questo tipo di patologia benigna presenta un’evoluzione piuttosto lenta – la rapida crescita si verifica raramente –, con dimensioni che variano da soggetto a soggetto (ma anche nella stessa donna), dai pochi millimetri fino ad alcuni centimetri.
Recenti dati epidemiologici rivelano che ne soffre tra il 15 e il 30 per cento delle donne in età compresa tra i 30 e i 50 anni, percentuale che si presume sottostimata in quanto, in età fertile, il tumore uterino tende a recidivare. Dopo i 50 anni, età che coincide per molte donne con la menopausa, i fibromi all’utero tendono a regredire. Non si conosce, invece, la precisa genesi dei polipi endometriali, la cui formazione si suppone connessa a un’eccessiva crescita della mucosa dell’utero (endometrio). Questa anomalia nella crescita delle cellule endometriali è piuttosto frequente nelle donne tra i 40 e i 50 anni, anche se può manifestarsi a ogni età nell’1-12 per cento delle donne.
In genere non sono pericolose, in quanto si tratta di formazioni benigne che solo raramente evolvono in neoplasie (meno dell’1 per cento della casistica totale), possono però arrecare numerosi disturbi, soprattutto per quanto riguarda il ciclo mestruale.
Per queste neo formazioni benigne, ma più in generale per tutte le patologie ginecologiche, visto che possono anche decorrere in modo completamente asintomatico, è indispensabile un controllo medico specialistico periodico, così da disporre – il prima possibile – di una diagnosi precisa. Nel caso poi si presentasse l’eventualità di dover intervenire chirurgicamente, è consigliabile procedere utilizzando strumenti e tecniche poco invasive.
Da diverso tempo, l’introduzione della resettoscopia, ha determinato profondi cambiamenti nell’approccio terapeutico, fino a rendere desueto il raschiamento uterino diagnostico terapeutico (RDT) visti anche gli elevati tassi di insuccesso.
Dottor Bigatti, qual è la tradizionale procedura chirurgica nel trattamento delle patologie endouterine e quali sono le controindicazioni?
La tecnica endoscopica utilizzata oggi per il trattamento atraumatico di alcune patologie endouterine è particolarmente difficile, ed è pertanto eseguita solo da un ristretto numero di chirurghi. Il problema principale della tecnica resettoscopica convenzionale è che i tessuti asportati restano all’interno della cavità uterina per tutto il tempo dell’intervento, riducendo sensibilmente la visibilità del campo chirurgico. Aumentano, di conseguenza, i rischi operatori. Molto gravi, anche se non frequenti, possono verosimilmente essere le complicazioni legate alla cattiva visibilità, quali, per esempio, le lacerazioni cervicali o la perforazione uterina, con conseguente danno degli organi endometriali. Mentre l’eccessiva durata dell’intervento può ingenerare possibili complicazioni anestesiologiche.
Come è nata l’idea di costruire uno strumento più affidabile ed efficace?
Sono molti anni che utilizzo la tecnica convenzionale e al termine di ogni intervento – essendo un perfezionista – ho sempre avuto un appunto da muovere al mio lavoro.
Ho cominciato così ad annotare le mie considerazioni e quelle dei miei colleghi, e a mettere su carta il progetto di uno strumento in grado di ovviare alle carenze connesse a quel tipo di tecnica. Inoltre, volevo trovare una pratica chirurgica di facile utilizzo, che potesse essere agevolmente utilizzata da un numero sempre maggiore di chirurghi.
L’idea risale ad almeno vent’anni fa, ma la sua realizzazione non è stata semplice. Certo, non mi sono arreso alle molte difficoltà.
Ho trovato così un’azienda disposta a costruire il primo prototipo. Poi, attraverso un processo di work in progress e attraverso una serie di test abbiamo via via eliminato le varie imperfezioni; siamo infine riusciti a raggiungere la messa a punto di un modello che rispondeva ai requisiti che stavamo cercando. Abbiamo, quindi, presentato la documentazione e ottenuto il relativo brevetto.
Quali sono i principali vantaggi derivanti dall’utilizzo dell’Intrauterine Bigatti Shaver?
Prima di tutto consente l’asportazione del tessuto patologico contemporaneamente alla sua resezione, lasciando all’operatore piena visibilità del campo chirurgico. Con conseguente abbattimento dei rischi intraoperatori insiti negli interventi realizzati con la tecnica tradizionale. Inoltre, questa nuova tecnica è in grado di migliorare la qualità dell’intervento, in quanto la capacità di taglio dell’IBS, di tipo puramente meccanico, non riscalda i tessuti sani adiacenti alla patologia da asportare, come invece avviene con il resettore convenzionale. Si pensi, per esempio, a una donna in età feconda ma con problemi di fertilità: la possibilità di delimitare il campo d’intervento alla singola lesione da asportare fa sì che il tessuto sano sia risparmiato dagli inconvenienti che oggi derivano dal riscaldamento prodotto dal resettore convenzionale e dalle possibili complicanze legate alla cattiva visione del campo operatorio durante l’intervento.
Da ultimo, ma non certo meno importante, la facilità con cui questa tecnica può essere appresa e la semplicità della sua applicazione farà sì che potrà essere utilizzata con ottimi risultati da numerosi chirurghi ginecologi.
A che punto si trova la diffusione di questa nuova tecnica?
Dal 2009 a oggi abbiamo promosso con successo l’utilizzo dell’lntrauterine Bigatti Shaver in diversi congressi internazionali quali l’ESGE (European Society of Gynaecologycal Endoscopy) di Barcellona, Londra, Parigi e Berlino. Anche presso l’Ospedale San Giuseppe organizziamo da diverso tempo corsi teorico-pratici con lo scopo di insegnare il corretto utilizzo di questo dispositivo, confrontandolo con le procedure isteroscopiche attualmente in uso. A oggi sono stati eseguiti più di 500 interventi senza complicanze di rilievo e la tecnica è andata migliorando sempre più. Per i polipi endometriali e per i miomi fino a tre centimetri di diametro siamo estremamente concorrenziali.
Un ulteriore sforzo, ma ci stiamo già lavorando, sarà fatto per i miomi fino a cinque centimetri di diametro.
Finora abbiamo parlato dell’utilizzo dell’IBS in campo ginecologico. Pensa che in futuro potrà essere impiegato anche in altri ambiti chirurgici?
Oggi la mia attenzione è rivolta all’applicazione dell’IBS all’interno della mia specialità, nel tentativo di estenderne l’utilizzo anche all’asportazione di altre patologie ginecologiche, come i setti endouterini, le sinechie e i residui placentari.
Di sicuro lo strumento, per le sue caratteristiche, ha le potenzialità per essere applicato, in futuro, in altri ambiti, tra i quali, per esempio, l’Urologia.
dottor Giuseppe Bigatti, ginecologo, ideatore dell’Intrauterine Bigatti Shaver – conosciuto anche con la sigla IBS – il nuovo strumento chirurgico che consente di superare le problematiche connesse all’isteroscopia chirurgica convenzionale nella cura di patologie uterine quali: polipectomie, miomiectomie o l’ablazione dell’endometrio.