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Un attimo di meraviglia: a colloquio con Franco Mussida

DiBruno Lanata

Ott 1, 2022

Intervista a Franco Mussida

Dai successi della Premiata Forneria Marconi alla fondazione del Centro Professione Musica a Milano, una delle più importanti scuole italiane di popular music. Un cammino tra pedagogia artistica e comunicazione musicale nel segno dell’antroposofia.

Franco Mussida: artista, musicista, compositore e cantante. Vorrei però iniziare questo nostro incontro ponendole una domanda quale presidente del CPM Music Institute. Il Centro Professione Musica, che ha concorso a fondare nel 1984, l’anno scorso ha ottenuto un importante riconoscimento: è stato infatti abilitato dal Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca a rilasciare la certificazione di alta formazione artistica, musicale (AFAM) per i corsi strumentali di popular music.
Che cosa rappresenta per lei e il suo staff questo riconoscimento?

Non è da molto tempo che il ministero ha iniziato a occuparsi di popular music, o di musica popolare contemporanea, come preferisco chiamarla, considerandola finalmente un fenomeno culturale. Sull’esempio del CPM, per compensare un’evidente carenza di iscrizioni, solo negli ultimi dieci anni l’istituzione ha portato alcuni conservatòri ad aprire una sezione dedicata a questa materia. Per noi la musica popolare è stata da subito la radice del nostro impegno. Credo che, in fondo, diventare parte del sistema universitario italiano sia un riconoscimento del lavoro che abbiamo svolto in questi trentaquattro anni. Più in generale, è il riconoscimento del lavoro di una generazione, della mia generazione, che, a partire dalla fine degli anni Sessanta, ha fatto di questa forma musicale un suo fondante punto di riferimento.

Che cos’è per lei la popular music?

È la nostra memoria. È figlia di una storia molto più lunga della cosiddetta musica classica. Questa appare infatti con l’avvento della prima macchina della musica, ovvero i derivati del pianoforte. Appare per assecondare l’esigenza di razionalizzare, in un sistema più limitato, il sistema tonale, ciò che oggi possiamo definire “suono organizzato”.

Da lì parte quello che viene definito il percorso classico. E le migliaia di anni precedenti?

È nella storia antica pre-cristiana che troviamo l’origine della musica popolare. Se si ascoltano le musiche etniche tradizionali, ci si rende conto che sono quelle le prime vere sorgenti della nostra attuale vita musicale. È da quelle sorgenti che attinge la musica popolare contemporanea. Il riconoscimento avuto dal ministero ci investe quindi di una grande responsabilità, un impegno per fare in modo che queste radici non vengano disperse.

Quali sono le caratteristiche che sono richieste ai ragazzi per poter accedere al CPM?

Il CPM è una casa dei mestieri della musica. Ai futuri musicisti si richiede certamente attitudine: ossia la predisposizione a frequentare il territorio musicale per il piacere e la curiosità di farlo. La passione è l’elemento che accomuna tutti i musicisti. Bisogna essere appassionati, ma anche cocciuti, pignoli, esigenti e, perché no, devoti a questa fonte meravigliosa. Occorre vivere con grandissima sensibilità questo amore fino al punto da farsi ferire.
Se sei – come si può dire – assillato, se vivi la musica quasi come una sorta di dolce tormento di cui non puoi fare a meno, vuol dire che hai dentro quel quid che ti farà superare gli ostacoli che il mestiere di musicista ti porrà di fronte durante la carriera. Non si deve dimenticare che un musicista è, in fondo, un “venditore” di emozioni.

E cosa si devono aspettare i ragazzi che accedono al Music Institute?

Chi frequenta la scuola si deve aspettare di intraprendere un percorso di crescita, non solo musicale e professionale, ma personale e umano.In questo percorso i ragazzi si confrontano con la differenza tra lo strumentista e il musicista nel senso completo del termine.
La musica è una via di conoscenza. Si occupa di comunicare elementi affettivi emozionali. Chi vuole crescere, anche da un punto di vista creativo, deve essere capace di mettersi in gioco fino in fondo.Si può scegliere di diventare un ottimo strumentista che svolge bene il proprio lavoro, magari con meticolosità e grande distacco, come spesso accade. Ma una cosa è “campare di musica” con distacco, un’altra è suonarla vivendola pienamente, coinvolgendosi pienamente.

È forse per questo che, a volte, ascoltando la musica percepiamo emozioni intense e altre, seppur in presenza di artisti tecnicamente preparati, restiamo indifferenti o, perlomeno, non proviamo la stessa viva sensazione?

Certo. Tra l’altro questo è un aspetto che viene associato anche allo sviluppo della carriera di chi fa musica popolare, che spesso inizia suonando solo istintivamente. In genere i critici sostengono che il periodo migliore nella produzione artistica di un gruppo o di un cantante sia quello degli esordi, l’inizio della carriera, che viene identificato come momento di maggiore freschezza e autenticità. In realtà è un aspetto soggettivo, che varia da artista ad artista. Se c’è una vera crescita umana oltre che musicale, l’autenticità non solo rimane, ma evolve. Basta osservare la carriera di alcuni grandi artisti. Certo, il rischio è non riuscire a evolvere, a trasformarsi. Così capita che, pur continuando ad affinare le proprie doti strumentali, il musicista non riesca a proporre nulla di nuovo rispetto ai suoi inizi, anche se sono stati esaltanti.

Si finisce col ripetersi?

Non solo. Il rischio è quello di diventare un professionista inamovibile che continua a riproporre solo ciò che piace al pubblico degli inizi. Insomma, si rischia di riprodurre sempre la stessa canzone.Ci sono invece artisti, come Fabrizio De Andrè, che hanno profuso un grande sforzo per continuare a rinnovarsi. Pur essendo stato uno dei più grandi cantanti che abbiamo avuto, dal punto di vista della sua personalità espressiva, De Andrè non si è mai seduto sui propri successi, ma ha continuato a scandagliare la società e a raccontarla artisticamente in forme e modi diversi, utilizzando anche il dialetto.
Un altro grandissimo esempio, forse il più grande di tuttiè stato Giorgio Gaber. In gioventù cantava deliziose canzoncine come Arrossire. Per terminare poi la carriera con i monologhi in musica di Io se fossi Dio. Ma dovremmo ricordare anche Enzo Jannacci e Massimo Ranieri. Sono importanti esempi per i ragazzi.

Qual è la caratteristica che contraddistingue il lavoro di un musicista?

La ricerca della profondità. Oggi si tende a vivere in maniera sempre più superficiale, trascurando l’essenziale. Un elemento essenziale della vita è il rapporto che si ha con l’arte e, quindi, con la musica. Ma oggi la profondità è come ostacolata. La sensibilità umana pare ricoperta da una sorta di corazza di piombo.
A questo proposito mi viene in mente un mio caro amico, Remo Salvatori. Un artista che crea opere composte da lamine di piombo di varie dimensioni su cui interviene con tagli e piegature in una complessa dinamica di pieni e di vuoti. Possiamo vedere questa lastra come una metafora spirituale. Possiamo immaginare di indossare un abito di piombo che continuiamo a ispessire progressivamente, per proteggere la nostra natura emotiva messa alla prova dal dolore che ci circonda.
Un abito in cui dovremmo aprire varchi con il concorso di “luce e fiducia”. La musica è una straordinaria essenza capace di bucare luminosamente e naturalmente il piombo dell’insensibilità, generando fiducia. In CPM terrò a breve una serie di incontri destinati agli operatori del sociale, proprio su questi aspetti.
Compito dei musicisti è infatti prendere questa essenza oggettiva dandole forma, riempiendola con la loro personale sensibilità. Per questo mi piace paragonare il lavoro del musicista a quello dell’ape. Proprio come un’ape il musicista raccoglie, vivendo nel mondo, il meraviglioso nettare emotivo che lo pervade e di cui si ciba, relazionandosi con la natura e con gli uomini, per poi elaborarlo restituendolo in forma di musica.

Come fa la musica a stabilire un contatto?

Perché la magia riesca, occorre che la musica sappia restituire un attimo di meraviglia: l’attimo in cui si apre un varco in questa nostra corazza protettiva anti emozionale. L’attimo in cui la persona riscopre l’intimo collegamento con la propria invisibile struttura emotiva. Ciò non avviene peò a causa della coscienza intellettuale dell’ascoltatore, ma di un suo bisogno istintivo. Da questo attimo di meraviglia può derivare poi un percorso di coscienza. È la strada che riguarda i musicisti che, come tutti, sono prima di tutto degli ascoltatori.
Ciascun musicista, nel corso della sua carriera, può scegliere se perfezionare prevalentemente le proprie capacità tecniche o mettere le sue capacità espressive al servizio del pubblico. Noi cerchiamo di fare in modo che i ragazzi che frequentano la scuola siano consapevoli di svolgere un lavoro “di servizio” per il pubblico, spronandoli ad andare oltre la bellezza formale per creare attimi di autentica meraviglia.

Franco Mussida

Franco Mussida è noto al grande pubblico per essere stato tra i fondatori della Premiata Forneria Marconi, uno dei gruppi che ha lasciato un’impronta indelebile nella storia della musica popolare contemporanea. Autore dei brani più famosi della band, tra cui “Impressioni di settembre”, produttore artistico di progetti come De Andrè-PFM, è anche apprezzato virtuoso chitarrista e cantante.
Da anni ha esteso il proprio lavoro musicale alla letteratura, scrivendo diversi libri tra cui La Musica Ignorata, edito da Skira, e impegnandosi come scultore nella realizzazione di opere “sonore” e mostre esperienziali come “Musica Respiro Celeste” alla Triennale di Milano.
A 31 anni inizia a studiare antroposofia e pedagogia a orientamento antroposofico, studi che hanno segnato in modo definitivo il suo rapporto con la vita e con la musica. Nel 1984 è tra i fondatori a Milano del Centro Professione Musica (CPM Music Institute), scuola di musica popolare con- temporanea. L’interesse per le caratteristiche archetipiche della comunicazione musicale lo porta, quindi, a incontrare il mondo del disagio giovanile: prima l’impegno in ambito carcerario (1987-1996) poi il lavoro con la Comunità Exodus. Dal 2013 crea il progetto protocollo di ascolto emotivo consapevole, realizzando per il Ministero della Giustizia una rete unica di 12 audioteche consultabili per stati d’animo, presenti oggi in altrettanti istituti carcerari italiani.