Nasce la Re Soil Foundation per dare impulso a politiche nazionali ed europee sulla rigenerazione territoriale.
27 gennaio 2020 – Da quando, ormai quasi cinquant’anni fa, venne pubblicato il rapporto sui limiti dello sviluppo, commissionato al Massachusetts Institute of Technology – MIT dal Club di Roma (1), continuiamo a interrogarci su quale sia il punto di non ritorno, il confine fino al quale l’uomo può spingersi nel consumo delle risorse che la natura mette a nostra disposizione.
Risorse fra le quali dobbiamo annoverare il suolo. Un patrimonio apparentemente illimitato ma che in realtà presenta un equilibrio molto più fragile di quanto possa sembrare. Sì perché, a quanto ci riferiscono gli scienziati occorrono oltre 2 mila anni per formare uno strato di appena 10 centimetri di terreno.
Un tempo non certo compatibile con la velocità con cui il processo di antropizzazione sta aggredendo il territorio coprendo il suolo nella sua condizione “naturale” con edifici e infrastrutture. Un’azione che ha portato a conseguenze che sono causa di grave preoccupazione. Basti pensare che un terzo dei suolo a livello mondiale risulterebbe degradato, mentre si sta drasticamente riducendo la superficie dei terreni produttivi fertili e delle aree naturali e seminaturali.
Un problema che purtroppo non è stato affrontato in modo adeguato tanto a livello nazionale che europeo.
Aspetti questi emersi in occasione della presentazione della Fondazione Re Soil, nata per “per dare impulso a un reale cambiamento, a partire dalla salute del suolo e dal concetto chiave di rigenerazione territoriale”.
Alla conferenza stampa di presentazione hanno partecipato Catia Bastioli, AD Novamont e membro della Mission Board sul suolo della Ue; il Rettore del Politecnico di Torino Guido Saracco; Francesco Ubertini, Rettore Alma Mater Studiorum Università di Bologna.
“Per contrastare la crisi climatica e ambientale occorre il riconoscimento dell’ecosistema terra: oggi il suolo è un oggetto legale non identificato”, ha spiegato Catia Bastioli per la quale risulta necessaria una direttiva europea che preveda incentivi volti a ridurre l’emissione di carbonio in atmosfera, ma anche per riportare il carbonio nel suolo. “Protagonisti di questa svolta dovrebbero essere gli agricoltori, che andrebbero remunerati non solo per la loro attività di produzione di beni alimentari ma anche per quella di custodi della terra, per il loro contributo nel riportare carbonio e quindi fertilità nei terreni”.
Basti pensare che, secondo quanto riferito dalla Re Soil Foundation, a livello globale i costi annuali stimati del degrado del suolo variano tra 18 miliardi di dollari e 20 trilioni di dollari. La perdita di servizi ecosistemici a causa del degrado del suolo costa tra i 6,3 e i 10,6 trilioni di dollari all’anno, pari al 10-17 per cento del PIL mondiale.
“In questo scenario – ha spiegato il Rettore del Politecnico di Torino Guido Saracco – diventa fondamentale attivare azioni specifiche per creare consapevolezza del problema e per intervenire sui diversi settori delle filiere integrate accelerando l’adeguamento delle infrastrutture, mettendo in rete le migliori soluzioni tecnologiche esistenti, investendo e facendo innovazione su campo, frenando il degrado e l’inquinamento ed operando in sinergia con le comunità locali per un modello di sviluppo che metta al centro un suolo sano e pulito, fondamentale per la vita sul pianeta Terra”.
Lo sviluppo di una bioeconomia basata sui territori quindi non solo può rappresentare un’opportunità per la rigenerazione dei suoli, ma anche per l’economia europea, da cui consegue la possibile creazione di nuovi posti di lavoro.
(1) Club di Roma Associazione civile senza scopo di lucro, fondata (1968) e presieduta (fino alla morte, 1984) da A. Peccei e poi dallo scienziato scozzese A. King, con sede a Parigi. Ha lo scopo di analizzare in un contesto globale i principali problemi dell’umanità, cercando soluzioni idonee. Noti soprattutto i primi tre rapporti: I limiti dello sviluppo (1972), Strategie per sopravvivere (1974) e Progetto RIO (1977).