Intervista a Roberto Galimberti
Nonostante l’impegno e le dichiarazioni dei leader mondiali sulla necessità di contrastare le disuguaglianze, continua drammaticamente a crescere il divario fra una ristretta casta di privilegiati e il resto della popolazione mondiale.
Tanto che, in uno studio diffuso da Oxfam alla vigilia del Forum economico mondiale di Davos, addirittura si affermava che oltre la metà della ricchezza mondiale è nelle mani di uno sparuto numero di super-ricchi.
E anche se alcuni organi di stampa hanno messo in discussione l’accuratezza delle conclusioni elaborate della Ong britannica, cui si contesta un certo sensazionalismo, rimane comunque incontestabile la sostanza delle conclusioni descritte nel rapporto, ossia:
- la crescente disuguaglianza economica ha un impatto così devastante sulla parte meno abbiente della popolazione che rischia di vanificare le azioni di lotta alla povertà globale;
- l’attuale sistema economico-finaziario non tiene sufficientemente conto delle conseguenze che le politiche di globalizzazione provocano a livello sociale.
Così, se è innegabile che allo sviluppo dei mercati corrisponde un incremento qualitativo degli standard di vita della popolazione, dall’altra si constata, con altrettanta evidenza, come stia inesorabilmente crescendo il divario tra ricchi e poveri. Una situazione che diventa sempre più pressante in quanto – soprattutto nei Paesi più sviluppati – le persone che rimangono indietro (per la perdita del lavoro, a causa di separazioni familiari, per indigenza economica, problemi psichici, età avanzata) hanno sempre maggiore difficoltà a uscire dalla loro situazione di disagio e di conseguente, progressiva emarginazione.
Di fatto, le politiche di welfare messe a punto dai governi a partire dal secondo dopoguerra si stanno via via sempre più contraendo, anche in seguito alla riduzione delle risorse a disposizione degli Stati. Le stesse iniziative filantropiche che fin dall’inizio del XX secolo hanno avuto un ruolo fondamentale, oggigiorno non dispongono di risorse sufficienti per affrontare problemi sociali sempre più urgenti.
Eppure, nella sola Europa, sono oltre 11 milioni le persone che lavorano nelle organizzazioni no-profit2 e caritatevoli; organizzazioni che hanno, come denominatore comune, l’impegno di provvedere ai servizi necessari per quanti si trovino in stato di necessità. Ma non sempre queste strutture dispongono delle risorse sufficienti per poter reggere alla crescente domanda. Da qui la necessità di creare situazioni favorevoli affinché questi organismi sociali si dotino di una struttura che offra loro la possibilità di accedere al capitale d’investimento, come qualsiasi altra impresa.
Ingegner Galimberti, lei è vicepresidente di Human foundation, una fondazione da tempo attiva nel terzo settore, nata con l’obiettivo di “affrontare i problemi sociali proponendo soluzioni innovative, visionarie e capaci di produrre impatti positivi e duraturi”. Potrebbe chiarirci cosa è l’imprenditoria sociale e in che cosa questa si differenzia dalle imprese espressamente rivolte all’interesse economico?
L’imprenditoria sociale sviluppa un modello d’impresa innovativo che coniuga solidarietà ed esercizio dell’attività economica. Principale obiettivo è quello di realizzare investimenti che abbiano un impatto sociale misurabile e che siano, nel contempo, in grado di generare un sia pur minimo ritorno economico per gli investitori. Sintetizzando, le architetture finanziarie implementate debbono rendere l’obiettivo autosostenibile e, ove possibile, remunerativo.
Si tratta di un fenomeno che è espressione di una nuova esigenza generata dai grandi cambiamenti sociali e ambientali in atto, che rendono la finanza a impatto sociale una necessità. In pratica, nell’impresa sociale viene a cadere la separazione tra la realizzazione di finalità di interesse generale, propria delle istituzioni pubbliche, e il perseguimento parziale di fini lucrativi, propri dell’iniziativa privatistica.
Qual è il panorama attuale e quale il potenziale dell’imprenditorialità sociale in Italia?
Sono circa 12 mila le strutture che operano attualmente in Italia nel settore sociale. Per la maggioranza si tratta di cooperative, ma è in crescita anche il gruppo delle imprese sociali.
Si tratta già di valori di sicuro interesse. Il settore ha, però, un potenziale di crescita molto elevato; si calcola, addirittura, dieci volte superiore a quello attuale. Secondo le stime emerse da un’elaborazione Istat del 2014, operata sui dati rilevati nel censimento dell’industria e dei servizi, il comparto potrebbe superare in breve tempo le 110 mila unità.
Quali sono i presupposti da cui ha preso avvio questo nuovo approccio all’idea di impresa?
A livello internazionale l’impulso verso l’imprenditoria sociale è stato ufficializzato nel 2013 attraverso la creazione della Social Impact Investment Task-force (SIIT), istituita in occasione della presidenza britannica del G8, che ne ha affidato il coordinamento a Sir Ronald Cohen, un finanziere che è stato tra i pionieri del Venture Capital e del Private Equity. Poi, a sessant’anni, dopo aver ottenuto grandissimi successi professionali e accumulato una grande fortuna, ha deciso di cambiare vita, impegnandosi nel campo dell’investimento sociale.
Per quanto riguarda l’Italia, nel settembre 2014 è stato presentato, in contemporanea con altri Paesi membri della Task-force, il rapporto su “La finanza che include. Gli investimenti a impatto sociale per una nuova economia”: il frutto di un lavoro, guidato da Giovanna Melandri, cui ha dato un fattivo contributo Human Foundation. Alla realizzazione del rapporto ha preso parte un pool composto da un centinaio di esperti e professionisti e da quarantacinque organizzazioni pubbliche e private. Obiettivi fondamentali di questo studio sono le modalità di attrazione dei capitali, la messa a punto di indicatori dell’impatto sociale, l’individuazione di strumenti di cooperazione e la definizione di buone pratiche e progetti pilota, nonché la verifica delle implicazioni normative e fiscali.
L’imprenditoria sociale e quella legata al mondo del business sono irrimediabilmente in contrapposizione o possono coesistere, ed eventualmente supportarsi e integrarsi su obiettivi comuni?
Non sono assolutamente in contrapposizione. Occorre però riflettere sul fatto che la finanza mondiale riserva aspetti estremamente preoccupanti. Basti pensare che la capitalizzazione finanziaria ha un valore dieci volte superiore a quello dell’economia reale.
Certo, una parte del mondo finanziario rivolge una sempre maggiore attenzione verso lo sviluppo del Terzo settore e dell’impresa sociale. Si tratta, però, di una forza significativa ma ancora esigua, stimabile intorno all’uno per cento della finanza globale.
Un chiaro impulso a procedere in questa direzione è venuto dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Nell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, approvata il 25 settembre 2015, è stato evidenziato come i problemi del mondo dovrebbero essere risolti attraverso l’imprenditoria sociale.
L’Agenda ha anche definito una lista di 17 obiettivi che riguardano la qualità della vita umana e la salvaguardia degli ecosistemi. Obiettivi che dovranno essere raggiunti da tutti i Paesi del mondo, al più tardi, entro il 2030.
Si va dall’eliminazione della povertà alla salute per tutti, dalla crescita economica e lavoro dignitoso all’eliminazione delle disuguaglianze, comprese quelle di genere, dalla tutela dell’ambiente alla qualità della vita nelle città, dall’educazione all’innovazione per la sostenibilità. Insomma, un progetto che considera finalmente economia, società, ambiente e istituzioni come elementi ugualmente importanti per costruire un futuro sostenibile. Il progetto, promosso dal segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, è guidato da Robin Li, fondatore del motore di ricerca Baidu, e da Enrico Giovannini, che è stato tra l’altro direttore delle statistiche dell’Ocse e presidente dell’Istat.
Quali sono le realtà che potrebbero essere favorite dagli investimenti a impatto sociale?
Innanzitutto questi investimenti possono essere finalizzati a migliorare l’efficienza e l’efficacia della spesa pubblica per i servizi destinati al welfare, in particolare per gli interventi di natura preventiva. I settori maggiormente coinvolti sono quelli legati alla cura dell’infanzia e degli anziani, cui si affiancano le iniziative rivolte alla soluzione del disagio abitativo, che comprende anche l’accoglienza dei rifugiati. Altri ambiti sono l’inserimento lavorativo, il reinserimento dei detenuti, il contrasto della dispersione scolastica e l’accesso e la valorizzazione della cultura.
Quali opportunità e quali difficoltà si presentano a chi voglia sviluppare un progetto nell’ambito dell’imprenditoria sociale?
Gli investimenti a impatto sociale attirano capitali privati che concorrono al sostegno di iniziative di problem-solving nella dimensione sociale.
L’ecosistema italiano presenta indubbie opportunità per quanti vogliano intraprendere iniziative nell’ambito del Terzo settore; opportunità che derivano sia dalla forte tradizione cooperativa e mutualistica, sia dall’ampio potenziale che si prospetta per l’imprenditorialità sociale; non certo secondario è, inoltre, il ruolo strategico svolto dalle fondazioni bancarie, che potrebbero avere un ruolo strategico nell’orientare una parte delle loro dotazioni verso gli investimenti a impatto sociale, così come da altri investitori istituzionali, per natura “pazienti” e attenti all’impatto sociale.
Altri aspetti positivi sono legati alla presenza di un sistema bancario capillarmente diffuso sul territorio Un’ulteriore opportunità è quella offerta dai fondi strutturali attraverso le amministrazioni centrali e i governi regionali.
Per contro, l’ecosistema economico italiano presenta anche precisi limiti. Questi potrebbero essere schematicamente inquadrati in un’offerta di capitali ancora relativamente limitata, seppur in rapida evoluzione, connessa a una scarsa propensione a investimenti in campo sociale da parte dei privati. Altro minus è rappresentato dallo scarso sviluppo degli investimenti in equity nelle imprese sociali, anche per via delle loro limitate dimensioni, e dalla struttura gestionale delle organizzazioni. Oltre alla presenza di varie barriere normative, dobbiamo annoverare nell’ambito degli aspetti negativi anche la difficoltà nel trovare exit options, la scarsità di intermediari e di track record affidabili, nonché la mancanza di operatori con competenze specifiche e di agevolazioni.
Qual è il ruolo delle istituzioni pubbliche e come intervengono a supporto dell’imprenditoria sociale? Cosa deve essere ancora fatto a livello politico?
Un deciso passo in avanti volto a favorire questo tipo di imprenditoria, destinata ad assumere un ruolo potenzialmente crescente e certamente strategico, è rappresentato dalla ‘Riforma del Terzo settore’ messa a punto dal governo e dalla attesa legge sulla cooperazione internazionale recentemente approvata. La legge delega è un testo ampio che ridisegna in modo complessivo tutto ciò che è riconducibile all’ambito del no-profit: associazionismo, volontariato, impresa sociale, cooperative sociali.
In particolare individua le caratteristiche comuni degli enti afferenti al Terzo settore, indicando come questi debbano essere privati e non lucrativi, con finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. Inoltre introduce la valutazione di impatto sociale come verifica dell’efficacia delle attività svolte dalle imprese sociali.
Anche le Regioni saranno chiamate a un maggiore impegno sul territorio, per le imprese e per le persone.
Può l’imprenditoria sociale trovare corrispondenze nell’elaborazione steineriana della triarticolazione sociale?
Certamente sì. Quello che sappiamo benissimo è che la parte debole della triarticolazione steineriana risiede nella realizzazione economica dei principi, in quanto questa impatta contro la finanza. Una realtà che ha delle precise regole.
Però i principi sono fondamentali e sono condivisi da un numero crescente di persone. È un seme che deve germogliare, ma al momento non sappiamo quanto questo potrà avvenire.
(1) Confederazione internazionale di organizzazioni no-profit che hanno come obiettivo comune la riduzione della povertà globale.
(2) In Italia sono 301.191 le istituzioni no-profit che possono contare sul supporto di 4,7 milioni di volontari, 681mila dipendenti, 271mila lavoratori esterni (fonte: Censimento delle istituzioni non profit, Istat).
Oxfam (Oxford committee for Famine Relief)
Nasce in Gran Bretagna nel 1942, per portare cibo alle donne e ai bambini greci stremati dalla guerra. Nel 1965, adotta definitivamente il nome “Oxfam” e diventa un movimento globale di persone che vogliono eliminare l’ingiustizia della povertà.
La Riforma del Terzo settore.
La legge delega del 6 giungo 2016, n. 106, individua le caratteristiche comuni degli enti del Terzo settore, che: debbono essere soggetti privati non lucrativi; avere finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale; svolgere attività di interesse generale attraverso l’azione volontaria e gratuita, la mutualità e la produzione e lo scambio di beni e servizi a finalità sociale. Inoltre la legge introduce la valutazione di impatto sociale come verifica dell’efficacia delle attività svolte dai soggetti del Terzo settore.
Roberto Galimberti
Nato a Milano nel 1939, è sposato con Edda, ha una figlia e tre nipoti. Laureatosi in Ingegneria Elettronica presso il Politecnico di Milano nel 1963, nel 1974 ha conseguito il master in Software Engineering presso MIT e il master in Business Administration presso l’European Centre for Executive Development, nel 1982. Nel 2007 l’Università degli Studi di Milano-Bicocca gli ha conferito la Laurea Honoris Causa in Informatica.
Oltre a essere stato docente di ICT al Politecnico e all’Università di Milano e di Pavia e capo della Divisione Elaboratori presso la Montedel (Montedison), Roberto Galimberti ha ricoperto la carica di direttore della R&D di Italtel-Siemens ed è stato presidente di Etnoteam, I.NET, E-TREE, Netikos, Sysline e di altre start-up.
Attualmente è vicepresidente di Human Foundation, di cui è stato tra i fondatori, e presidente dell’Associazione La Monda Onlus; inoltre è consigliere di Orchestra e Coro “Giuseppe Verdi” e di 40South Energy, nonché membro dell’Advisory board di Innogest.