«Perché? Perché proprio a me?»
È questa la domanda con cui, ossessivamente, ciascuno di noi si interroga nel momento in cui scopre di essere ammalato. Quasi volessimo cercare l’esistenza di una relazione fra il nostro modo di essere (predisposizioni genetiche, comportamento, abitudini, atteggiamenti, pensieri) e il nostro stato di salute.
Carl Simonton – medico oncologo radioterapista, considerato uno dei pionieri della psiconcologia – fonda il suo metodo su un’evidenza assiomatica, che è una risposta implicita alla nostra domanda, per cui ognuno è compartecipe del proprio stato di salute o malattia, in ogni momento.
Dove le espressioni “essere partecipe, compartecipe o partecipare” indicano il ruolo che ognuno svolge nel creare il proprio livello di salute. Tutti noi partecipiamo alla nostra salute, non solo in modo diretto, tramite le scelte alimentari o il fatto che manteniamo efficace il nostro corpo con l’esercizio fisico, ma anche in modo indiretto “attraverso le nostre convinzioni, i nostri sentimenti e i nostri atteggiamenti verso la vita. Inoltre, la nostra reazione al trattamento clinico è influenzata dalle convinzioni che abbiamo riguardo all’efficacia della cura e dalla fiducia che nutriamo nel personale medico”.
Volendo, possiamo quindi influenzare il decorso della malattia. E contribuire al successo del percorso terapeutico fino a riconquistare la salute.
Allora, per quali ragioni alcuni pazienti riacquistano la salute e altri no, anche se la diagnosi e la terapia sono le stesse per tutti?
Per Carl Simonton “la differenza essenziale tra questi pazienti” risiede “nel loro atteggiamento verso la malattia e nella loro visione … della vita”. I pazienti che continuano a star bene, per un motivo o per l’altro, sono contraddistinti da una più forte “volontà di vivere”.
Si trattava quindi di trovare il modo per “influenzare le convinzioni dei pazienti in questa direzione positiva”.
“La nostra premessa centrale – scrive Carl Simonton nel suo libro Ritorno alla salute – è che la malattia non è puramente un disturbo fisico ma piuttosto un disturbo dell’intera persona, la quale include non soltanto il corpo ma anche la mente e le emozioni. Noi riteniamo che gli stati emotivi e mentali svolgano un ruolo significativo sia nella predisposizione alla malattia, compreso il cancro, sia nel ristabilimento da ogni malattia. Crediamo che il cancro indichi spesso l’esistenza di altri problemi nella vita di un individuo, problemi aggravati o accresciuti da una serie di eventi stressanti verificatisi da sei a diciotto mesi prima dell’insorgere della malattia. Il malato oncologico normalmente ha reagito a questi problemi ed eventi stressanti con un profondo senso di disperazione o di “resa”. Questa reazione emotiva, secondo noi, innesca a sua volta una serie di reazioni fisiologiche che deprimono le difese naturali dell’organismo e lo predispongono alla produzione di cellule anomale.
(…) Allora diventa necessario che paziente e medico, nell’operare verso il ristabilimento, considerino non soltanto ciò che avviene a livello fisico ma, cosa altrettanto importante, ciò che accade nel resto della vita del paziente. Se l’intero sistema integrato di mente, corpo ed emozioni, che costituisce l’intera persona, non converge in direzione della salute, allora gli interventi puramente fisici possono non avere successo. Un programma di cura efficace, allora, si occuperà dell’intero essere umano e non si concentrerà sulla sola malattia…”.
Per approfondire gli aspetti teorici e pratici del metodo Simonton e dei vantaggi che questo può portare ai malati – non solo a quelli oncologici – abbiamo rivolto alcune domande a Elena Canavese, terapeuta certificata.
Quando nasce il metodo Simonton?
Il metodo ha avuto origine negli negli anni Settanta. Allora il dottor Carl Simonton, quale medico oncologo radioterapista, ebbe modo di osservare come i pazienti che usufruivano di una qualche forma di supporto psicologico presentassero tendenzialmente una prognosi migliore.
Partendo da questa considerazione, Simonton avviò, insieme al suo team del centro di ricerche sul cancro di Fortworth, una ricerca durata sette anni, focalizzata sul tempo di sopravvivenza di persone colpite da cancro ai polmoni, all’intestino e al seno, in forme avanzate, che avevano usufruito di un accompagnamento psicologico.
I risultati furono sorprendenti: i pazienti presi in esame erano sopravvissuti mediamente il doppio del tempo rispetto a quelli curati nei più noti centri oncologici, ma non sottoposti a psicoterapia.
Questi dati furono confermati da un successivo, scientificamente più rigoroso studio effettuato, sotto la supervisione del dottor David Spiegel, presso le università di Stanford e Berkeley.
Quali finalità si pone il metodo?
Fondamentalmente il metodo Simonton si pone come obiettivo il potenziamento di quelle che potremmo definire le naturali forze di autoguarigione, al fine di migliorare la qualità di vita dei malati e, indirettamente, dei loro famigliari.
Si tratta di fornire un supporto integrativo alle cure mediche, destinato – come affermava lo stesso Simonton – a sostenere e a rinforzare le terapie e ad aiutare il paziente a indiduare il proprio cammino di guarigione.
Quali sono i presupposti su cui poggia il processo di autoguarigione?
Uno dei capisaldi su cui si basa il metodo Simonton è che il corpo è sano per natura e possiede in sé e fuori di sé forze per conservare o mantenere la salute.
Occorre perciò, innanzitutto, focalizzarsi su quello che funziona, che fa stare bene una persona, partendo dall’individuazione di aspetti e situazioni che portano benessere e gratificazione.
L’altro caposaldo risiede nella cosiddetta terapia della gioia attraverso cui ci si libera dallo stress.
Per quale motivo risulta così importante liberarsi dello stress?
Lo stress non è di per sé un fattore negativo, ma una risposta fisiologica legata allo sforzo che l’organismo compie per mantenere il proprio equilibrio interno e comportamentale, la cosiddetta omeostasi, di fronte a stimoli chiamati stressor. Questi possono essere di vario tipo: fisico, ambientale-culturale, metabolico, psicologico, affettivo, alimentare.
Entro certi limiti, e in determinate condizioni, lo stress riveste una funzione positiva. Una situazione di stress prolungato, però, che supera le capacità di adattamento dell’individuo, può comportare pesanti ripercussioni sulla salute. Si generano, infatti, una serie di processi metabolici che incidono pesantemente sulla funzionalità del sistema immunitario. Viene infatti drasticamente inibita l’azione dei linfociti natural killer deputati a individuare e distruggere le cellule tumorali e infette da virus. Da qui la necessità di imparare a gestire lo stress.
Oltre al senso di impotenza di fronte a una situazione di stress, tra i fattori che possono influire negativamente sullo stato di salute possiamo anche annoverare la predisposizione a trattenere le proprie emozioni o, comunque, l’incapacità di esprimerle. In particolar modo la rabbia.
Come è possibile uscire da una situazione di stress?
Attraverso la terapia della gioia è possibile dirigere l’attenzione verso attività che danno piacere e portano a una vita soddisfacente. Situazioni che favoriscono la funzionalità del sistema immunitario.
D’altra parte, una volta identificate le cause originarie del proprio stress, non è detto che sia facile intervenire per apportare un cambiamento.
Perché molte volte ci rinchiudiamo in una nicchia, in una zona di conforto da cui può risultare difficile uscire. Il cambiamento può far paura.
Potremmo quindi supporre che alcuni atteggiamenti psicologici verosimilmente influiscono sulla perdita della salute?
Potremmo, più precisamente, dire che una gestione non appropriata delle emozioni può contribuire a far ammalare un corpo sano.
Già da diversi anni la ricerca in campo medico ha dato conferma della stretta connessione esistente tra corpo e mente, e il ruolo svolto in questa relazione dalle emozioni.
Un aspetto cui Simonton attribuiva particolare peso risulta essere, specie nei malati oncologici, la mancanza di speranza. Una condizione che, esprimendosi in aspettative negative, influisce sui risultati delle terapie e sulla prognosi.
Come è possibile intervenire per modificare questa situazione negativa?
Attraverso l’auto-coscienza, cioè attraverso la consapevolezza che la mente può modificare questa situazione.
In ogni caso c’è un sistema mente-corpo che agisce tramite quelle che Candace Pert chiama “molecole di emozioni”. La neuroscienziata statunitense aveva evidenziato come non sia più possibile attribuire alle emozioni e agli atteggiamenti mentali minore validità rispetto alla sostanza fisica. Anzi, devono essere considerati come segnali cellulari che traducono le informazioni in realtà fisica, che trasformano la mente in materia.
Il metodo Simonton trova quindi nella PNEI un ulteriore supporto scientifico?
Certamente, recenti studi nel campo della neurobiologia e della psico-neuro-endocrino-immunologia, con particolare riferimento a quelli su placebo e nocebo, forniscono un valido sostegno agli studi del dottor Simonton. Ma non solo. Esiste anche un’ampia casistica di supporto. Sono ormai centinaia di migliaia i pazienti che, in oltre quarant’anni, hanno usufruito positivamente del metodo Simonton.
Quali sono le componenti su cui si articola il programma di trattamento delle persone ammalate?
Essenzialmente esistono tre elementi fondamentali intorno ai quali si sviluppa la reazione con il paziente. In primo luogo la meditazione, poi la trasformazione delle credenze malsane in convinzioni sane; infine, la visualizzazione di immagini positive sulla malattia, la terapia e le proprie risorse di autoguarigione.
Cosa intende quando parla di credenze malsane
Ciascuno di noi, nel tempo, si forma delle convinzioni che compongono il sistema di valori che guida la nostra esistenza e quindi determina il nostro destino. Queste credenze riguardano il significato e il senso della vita, la malattia, il ritorno alla salute, la morte.
Le credenze malsane, a lungo termine, in una situazione di stress prolungato, provocano una défaillance del sistema immunitario e favoriscono quindi l’insorgere di uno stato di malattia.
Con il metodo Simonton si cerca di modificare le credenze malsane attraverso un lavoro empatico con il paziente. Una volta che il paziente acquisisce un nuovo sistema di credenze, lo introietta, lo interiorizza, induce la formazione di nuove connessioni neuronali che innescano un cambiamento profondo.
Potremmo definire il lavoro sulle credenze come una forma di pensiero positivo?
Non esattamente. In genere, con pensiero positivo si intende una tecnica che cerca di trasformare la situazione attuale in quella desiderata attraverso la ripetizione di “affermazioni” assolute. Il fine è realizzare una sorta di riprogrammazione della mente subconscia. Ad esempio, una frase legata al pensiero positivo potrebbe essere: “Sono malato ma sicuramente guarirò”.
Quella che propone il metodo Simonton è piuttosto la presa di coscienza da parte della persona della situazione che sta attualmente vivendo; situazione nei confronti della quale si interviene con spirito risolutivo. Quindi, nell’ambito del metodo Simonton, la frase precedente potrebbe essere riformulata in questo modo. “Sono malato, ma posso guarire. Nel contempo sono altrettanto consapevole che questa mia azione può non avere un buon fine: in sostanza che la morte può arrivare in qualsiasi momento. Desidero guarire ma sono pronto a morire, anche ora”.
Cosa ci può dire in merito alla meditazione?
Nel percorso di ristabilimento, occorre ridurre gli elementi di tensione e ansia associati, anche, alla paura generata dalla malattia stessa. In un momento particolarmente difficile, quando il futuro è troppo terrificante e il passato è troppo doloroso da ricordare aiutiamo il paziente a concentrarsi sul presente, sentito come luogo sicuro. Ciascun momento preso da solo è sempre sopportabile.
La meditazione e il respiro consapevole servono a mantenere l’attenzione sul presente e allontanare il rimuginio sul passato e l’ansia per il futuro. Per concentrasi sulle cose che danno gioia, qui e ora.
Fra gli aspetti che contraddistinguono il metodo Simonton forse quello più noto è la tecnica della visualizzazione? Come si svolge questa pratica?
Su questo argomento mi rifaccio direttamente a quanto sosteneva il dottor Simonton, per il quale, sostanzialmente il procedimento delle immagini mentali comporta un periodo di rilassamento, durante il quale il paziente individua un obiettivo e si raffigura il risultato desiderato. Per il malato oncologico questo significa cercare di visualizzare il cancro, la cura che lo distrugge e, cosa più importante, le difese naturali del suo organismo che lo aiutano a ristabilirsi.
La malattia deve essere rappresentata con immagini di debolezza, confusione, negatività. Può quindi essere trasformata da un belva aggressiva in una bestiolina non tanto simpatica, che può essere facilmente sopraffatta. Mentre il sistema immunitario viene visualizzato come qualcosa di potente, di aggressivo, che vince la malattia. Le forze di guarigione possono, ad esempio, essere viste come una luce che si diffonde nel corpo.
È fondamentale che il paziente ponga al termine della visualizzazione il risultato desiderato.
In che modo l’operatore coadiuva il paziente nel processo di visualizzazione?
Le visualizzazioni non devono mai essere imposte al paziente. Ciascuno deve elaborare le proprie visioni nel modo che crede più opportuno.
L’operatore può, invece, stimolare il paziente creando in lui particolari suggestioni per portarlo a comprendere il messaggio della malattia.
Ad esempio, concetti chiave da trasmettere potrebbero essere del tipo: onora e apprezza te stesso e rivolgi la tua attenzione verso le cose che ti portano gioia e soddisfazione. Oppure: frequenta di più le persone che ti danno serenità ed evita il più possibile le persone che ti stressano. E pensa che puoi ottenere attenzione e amore anche senza malattia.
Questo lavoro riguarda solamente il paziente?
No, coinvolge anche il terapeuta. Nel risultato che si vuole raggiungere riveste un ruolo fondamentale la relazione instaurata con il paziente. È necessario che questi condivida le finalità della trasformazione.
In definitiva, tanto il paziente quanto il terapeuta dovrebbero fare proprie il motto di Carl Simonton: “Sii pronto a morire anche oggi, ma fai progetti come se dovessi vivere per sempre”.